Dante MACARIO
Dante, che era del '25, viene richiamato alle armi alla fine del '43, dopo che era stata fondata la Repubblica di Salò, invece scelse di "andare in montagna" assieme ad altri quattro. Si rivelarono quindi molto utili quei due fucili che dopo l'8 settembre il fratello Giovanni, allora appena quindicenne, assieme ad altri ragazzini, aveva prelevato dalle Casermette di Rivoli e poi sotterrati e nascosti, dopo averli ben oliati.
Dante, quando in montagna avvenivano i rastrellamenti, scappava assieme ai suoi compagni e si nascondevano a casa sua oppure nei boschi di Rivoli, poi ritornavano su quando era tutto finito. Allora i partigiani erano pochi.
Il fratello Giovanni ricorda di averlo accompagnato in montagna, per un pezzo, e si ricorda anche che c'era tanta neve.
All’inizio del ’44 Giovanni inizia a lavorare in fabbrica alla F.I.L.P. Il padre gli raccomanda subito di non parlare troppo e di fare attenzione alle persone con cui parlava, perché anche lì nelle fabbriche c’erano quelli che erano contrari ai partigiani, quindi bisognava stare attenti.
Nel ’44 anche l’altro fratello Vincenzo va in montagna perché ogni quindici, venti giorni le brigate nere andavano nella loro casa a cercare armi o partigiani da arrestare. Una domenica le brigate nere hanno arrestato la madre dei tre fratelli e anche la mamma e il papà di Neirotti Aldo e un contadino che aveva ospitato un partigiano, però li hanno rilasciati dopo pochi giorni.
Sono stati portati tutti a Torino, alla caserma Cavalli, che era la caserma davanti alle Carceri Nuove. La madre dei fratelli Macario è rimasta lì trentanove giorni in carcere. Le si erano gonfiate le mani per il freddo. Le avevano detto che l’avrebbero lasciata libera se si fosse presentato il figlio più piccolo Giovanni, ma la madre non ha voluto. Dopo alcuni giorni l’hanno liberata.
Dopo un po' di giorni i fascisti circondano il paese dei Tetti e arrestano Dante, Vincenzo e altri quattro partigiani, in seguito ad una delazione. Arrestati in piena notte. Sentiti degli spari Dante e Vincenzo si sono messi subito in allarme per scappare, ma non hanno avuto tempo perché la casa era circondata.
Dopo una settimana di prigionia nella Casa Littoria di Via Piave i due fratelli sono stati fucilati assieme ad altri sei partigiani a Druento, davanti al municipio.
Quel giorno si era sparsa la voce che avevano fucilato dei partigiani a Druento e allora una cugina e la fidanzata di Vincenzo sono andate a vedere e li hanno trovati lì. Solo dopo sono riusciti a metterli dentro una cassa da morto e portarli in Chiesa al Cimitero.
La ribellione contro il nemico interno ed esterno, il coraggio di affrontare prove durissime guidati dalla voglia di libertà…. La Rivoli Partigiana è stata questo e molto altro; le nostre vie, le nostre case, le nostre piazze sono state testimoni del sacrificio di ragazzi giovanissimi che inseguivano un futuro libero dalla dittatura Nazifascista. Anche a Rivoli la Resistenza fu fame, freddo, sangue, paura per sé stessi e per le proprie famiglie, ma fu anche gioia, solidarietà e soprattutto consapevolezza di trovarsi dalla parte giusta. Molti furono i tragici avvenimenti nel nostro territorio riportati nei testi e tramandati di generazione in generazione, e sarebbe un autentico delitto scordare ciò che successe nella nostra Città.